lunedì 6 ottobre 2014

Anche l’Italia a caccia di business nella Birmania ancora sporca di sangue


Anche l’Italia a caccia di business nella Birmania ancora sporca di sangue

L’ex ministro Giulio Terzi, durante una visita ufficiale in Birmania nell’aprile del 2012, aveva annunciato l’interesse, “visto i nuovi sviluppi”, di partecipare alle gare d’appalto “in un Paese da ricostruire”, in particolare nel settore energetico e dell’infrastruttura. Poi, durante la visita di Thein Sein in Italia, nel marzo 2013, la prima nel nostro Paese di un presidente birmano dal 1950, è stata firmata una “Dichiarazione congiunta” per intensificare i rapporti economici e bilaterali.
A vendors fills his water bottle as he sells bananas at Thapyaygone market in Naypyitaw August 8, 2014. Photo REUTERS/Soe Zeya TunA vendors fills his water bottle as he sells bananas at Thapyaygone market in Naypyitaw August 8, 2014. Photo REUTERS/Soe Zeya Tun
La missione di Confindustria a fine settembre.

Nei prossimi giorni - dal 21 al 24 settembre - Confindustria, in collaborazione l’Agenzia Ice, l’Ambasciata Italiana sul territorio e guidata dal vice-ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, ha organizzato la missione “Government to Government” in Birmania. “Il Paese - si legge nel sito di Confindustria - dopo un periodo di isolamento economico e politico, ha dato avvio ad un processo di transazione democratica, accompagnata da riforme economiche”. In Birmania, continua sempre la nota dell’associazione, ci sono “grandi potenzialità legate allo sfruttamento delle rilevanti risorse interne” e grandi possibilità per “progetti infrastrutturali che si stanno pianificando”, dai gasdotti alle autostrade.

Stati occidentali e grandi compagnie multinazionali all’attacco.

Per decenni il Paese asiatico è stato chiuso all’Occidente e aveva rapporti quasi esclusivamente con la Cina: gli investimenti di Pechino in Birmania, solo dal 2005 al 2011, sono arrivati a 32 miliardi di dollari. Ma ora è tutto cambiato. La Birmania, che molti considerano la nuova “tigre asiatica”, fa gola a tutti. Non solo perché ricca di risorse naturali, dal petrolio al legname, ma anche perché, incuneata tra le potenze di India e Cina, ha un potenziale di mercato altissimo e una manodopera giovanile ad un costo molto basso. Le poche riforme in campo politico e sociale, fatte dal nuovo presidente birmano Thein Sein – un ex generale della sanguinaria giunta militare -, ha fatto conquistare al Paese spazi, consensi e ha fatto sparire le sanzioni internazionali. 

Un cambiamento solo di facciata.

Molti analisti della situazione del Paese asiatico sono convinti che quelli che vengono chiamati “nuovi sviluppi” non sono altro che un cambiamento di facciata. I vecchi generali della giunta, infatti, hanno ancora tanto potere e occupano il 25% del totale dei seggi in parlamento senza neanche partecipare alle elezioni. Anche diverse Organizzazioni non governative (Ogn), hanno denunciato più volte la continua violazione dei diritti umani da parte del governo verso i dissidenti e le diverse etnie che controllano alcuni aree del Paese e che sono contrarie allo sviluppo incontrollato del loro territorio. Non a caso i maggiori scontri dell’ultimo periodo tra l’esercito birmano e i guerriglieri sono in atto nelle zone dove il governo ha grandi interessi economici. E per questi interessi, i vecchi generali ancora al potere, sono pronti a tutto.

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